Punti di vista da un altro pianeta

venerdì 29 aprile 2011

Will & Kate on Mars

Non riesco a evitare di provare una sorta di desiderio nei confronti di una gente che può riconoscere l'orgoglio del proprio essere popolo in una persona, in una famiglia che, pur con tutti gli alti e bassi della vita e dei destini privati, ma in questo caso anche pubblici (e politici) dai quali l'imperfezione umana non può prescindere, rappresenta comunque idealmente una garanzia di unità, di intenti, ma anche di spiriti.

Al di là di tutto il gossip (e di curiosità voyeuristica) con cui per necessità delle circostanze l'insalata nuziale è condita, negli occhi degli inglesi (magari non di tutti, ma senza dubbio di moltissimi) il matrimonio di William e Kate è il sinonimo della continuità di un'essenza storica, è la traduzione in carrozze e confetti del senso di appartenenza a una comunità, il rinnovamento in crema chantilly di un patto identitario con un popolo, che da un lato si riconosce in una guida, e dall'altro in quella guida trova un punto di riferimento di responsabilità, una custodia di valori e il catalizzatore di una coesione sociale.

E benché Will & Kate sembri il titolo di una sit-com, e certi cappellini si possano abbinare con successo solo a delle camicie di forza, quando vedo immagini come quelle di oggi, e contemporaneamente penso all'Italia, capisco molte cose (o mi illudo di farlo). E mi accorgo con stupore che quello che fino a poco fa era un semplice e vago desiderio, senza che io possa farci alcunché, si è trasformato in autentica, livida invidia.

giovedì 28 aprile 2011

La (dura) legge di Muttley

Ho deciso che non voglio più essere da meno e voglio anch'io la mia medaglia. Con la primavera inoltrata e i profumi di anidride carbonica in arrivo dalle calotte polari, è il momento giusto per sentirmi finalmente qualcuno. Dunque, aiutatemi, vi prego, a scegliere.

Da una parte c'è la medaglia olografica chiamata Power BalanceTM, capace di armonizzare i campi energetici del corpo e migliorare la resistenza e, soprattutto, amplificare la capacità di equilibrio, tanto che viene utilizzata da sportivi famosi delle discipline più disparate, in particolare il surf - per cui è nata - dove l'equilibrio è fondamentale. Personalmente non ho mai calcato una tavola, ma pare aiuti a dormire meglio e a tenere alto l'umore e - dice qualcuno - anche qualcos'altro. Il costo si aggira sui 40/50€ a seconda della versione e lo ammetterete anche voi che fanno fico da matti quei braccialetti colorati, in silicone o in neoprene, ora anche sotto forma di collana, che già solo per questo ti fanno sentire così più forte, così maledettamente più cool, esaltano il tuo karma e aumentano la tua leadership.

Dall'altra c'è la medaglia chiamata Miracolosa, capace di distribuire grandi grazie in abbondanza a tutti perché "Fronteggiare le difficoltà di questa vita senza l'aiuto della protezione del cielo è temerario!", tanto che viene utilizzata ormai da "migliaia di italiani". Questa medaglia sembra essere decisamente più general purpose della precedente, l'equivalente mistico di un computer, con cui puoi fare un sacco di cose, invece di una semplice calcolatrice, con cui puoi fare solo certe operazioni, benché si debba tenere presente che il dispositivo non funziona in completa autonomia, ma viene richiesto un apporto personale pur minimo. Certo, il look è senza dubbio più classic e per questo ha decisamente meno appeal, specialmente presso gli utenti più giovani, ma il costo è a offerta libera volontaria e bisogna ammettere che la garanzia che non si tratta di un amuleto, è una di quelle cose in grado di fare la differenza.

Non so se questo possa essere d'aiuto a dirimere l'arduo dilemma, ma pare inoltre che (per ovvi motivi) l'utilizzo della prima verrà rigorosamente vietato ai prossimi Mondiali di Surf, mentre chi indossa la seconda (per altrettanto ovvi motivi) verrà rifiutato da tutti i Pronto Soccorso del paese, ma solo se si presenterà in Codice Rosso.

domenica 24 aprile 2011

L'estetica della speranza

The Aurora from Terje Sorgjerd on Vimeo.

Di fronte alla Bellezza, non c'è bisogno di ostinarsi a credere nella resurrezione, per sperare di avere uno scopo, benché lo si ignori. In fondo conoscerlo non aggiunge niente a ciò che conta, ovvero che esso, comunque, qualunque esso sia, esista.

[Un grazie a Keplero, per la segnalazione del video]

venerdì 22 aprile 2011

Harry ti presento Sharon

Si sa che certi film rimangono nel cuore, vuoi per la loro forza artistica, per la loro rara capacità di non perdere con il tempo (e le repliche) lo smalto della sollecitazione emotiva, vuoi perché ciascuno spettatore li associa a un determinato periodo della propria vita che li fa diventare così aggregatori di nostalgie e catalizzatori di ricordi, come una specie di petite madeleine in grado di solleticare altri sensi, ma comunque di tirare fuori dal cilindro della memoria suggestioni e malinconie sepolte.

Film come questi, in genere, se da un lato acquisicono con il tempo un'aura mitica di intoccabile inarrivabilità, dall'altro vengono spesso accarezzati dalla tentazione dei produttori di farne dei seguiti che sfruttino la forza dell'originale e la sua predilezione consolidata presso il pubblico, per cercare di mandare in porto operazioni commerciali di dubbio valore. Eppure, ferme restando tutte le più ciniche (e doverose) considerazioni sulla fredda logica dell'industria cinematografica, non è nemmeno così semplice restare del tutto immuni al fascino di ritrovare quei vecchi personaggi in altre situazioni, come il riabbracciare vecchi amici di cui si erano perse le tracce, che illude possa fungere da macchina del tempo e riportare indietro verso emozioni andate, addolcite dal tempo e distillate dal rimpianto.

Uno di questi è, senza dubbio, Harry ti presento Sally (When Harry met Sally), commedia cult del 1989 di Rob Reiner, con un'indimenticabile Billy Crystal e un'orgasmica Meg Ryan, che da più di vent'anni, a intervalli irregolari, suscita clamori di possibili seguiti. Ora Billy Crystal si rimette nei panni di Harry, invecchiato, ma Sally non c'è più. Al suo posto troviamo una Sharon interpretata dal Premio Oscar Helen Mirren, mentre al suo fianco compaiono pure il regista Rob Reiner (quello che si vede all'inizio) e, addirittura, Mike Tyson (quello con la faccia di Tyson). Inutile dire che le cose, per Harry, anche questa volta non andranno come previsto, e ne è testimone il fatto che, date le circostanze, sembra che il trailer gli sia bastato...

[Nota: Purtroppo il video è in inglese e non ho trovato una versione sottotitolata, ma anche se non comprendete la lingua vale la pena guardarlo ugualmente].

mercoledì 20 aprile 2011

L'umanità invocata

Se riescono a strumentalizzare politicamente il colore dei calzini di un giudice, la morte di un personaggio come Vittorio Arrigoni è un invito a nozze a sostegno ideologico e merceologico dello scontro politico e mediatico. E tutto ciò mi fa schifo. In questi giorni ho pure sentito dire e letto che questa è la fine di chi se ne va in giro a seminare odio, benché - va detto - gli assassini non facciano parte della categoria verso cui la vittima avrebbe seminato odio.

Nonostante la morte renda martiri e purifichi le memorie, di certo Arrigoni non era un santo, ma come non lo è nessuno di noi, e se hanno deciso di fare uscire la sua salma da Gaza verso l'Egitto, senza passare da Israele, un buon motivo ci sarà. Tuttavia provo disgusto nel sentire dire questo da persone che se ne stanno al sicuro, nel caldo della propria cameretta o ufficio a sgranocchiare patatine o sorseggiare caffè davanti a uno schermo, nella presunzione di avere capito tutto e poter così ergersi a sicuri giudici con il loro martello fatto di ossa a frantumare altre ossa.

Eppure tutto questo non fa che confermarmi una cosa. Ovvero che il povero Vik è stato vittima di se stesso, delle sue idee, delle sue convinzioni e delle sue speranze, ma non tanto rispetto alla loro contrapposizione ideologica, quanto piuttosto perché alla fine si sono tragicamente realizzate. Alla fine di ogni suo intervento, Vik scriveva: "Restiamo umani", come un'esortazione, un'invocazione, una preghiera, un augurio. Ebbene, chi l'ha ucciso è rimasto umano. Chi l'ha accusato in vita è rimasto umano. Chi lo denigra in morte è rimasto umano.

Restiamo umani?
Forse è meglio di no.

lunedì 18 aprile 2011

sabato 16 aprile 2011

Restiamo umani

"Prendi dei gattini, dei teneri micetti e mettili dentro una scatola" mi dice Jamal, chirurgo dell'ospedale Al Shifa, il principale di Gaza, mentre un infermiere pone per terra dinnanzi a noi proprio un paio di scatoloni di cartone, coperti di chiazze di sangue. "Sigilla la scatola, quindi con tutto il tuo peso e la tua forza saltaci sopra sino a quando senti scricchiolare gli ossicini, e l'ultimo miagolio soffocato." Fisso gli scatoloni attonito, il dottore continua: "Cerca ora di immaginare cosa accadrebbe subito dopo la diffusione di una scena del genere, la reazione giustamente sdegnata dell'opinione pubblica mondiale, le denunce delle organizzazioni animaliste..." Il dottore continua il suo racconto e io non riesco a spostare un attimo gli occhi da quelle scatole poggiate dinnanzi ai miei piedi. "Israele ha rinchiuso centinaia di civili in una scuola come in una scatola, decine di bambini, e poi l'ha schiacciata con tutto il peso delle sue bombe. E quale sono state le reazioni nel mondo? Quasi nulla. Tanto valeva nascere animali, piuttosto che palestinesi, saremmo stati più tutelati." A questo punto il dottore si china verso una scatola, e me la scoperchia dinnanzi. Dentro ci sono contenuti gli arti mutilati, braccia e gambe, dal ginocchio in giù o interi femori, amputati ai feriti provenienti dalla scuola delle Nazioni Unite Al Fakhura di Jabalia, più di cinquanta finora le vittime. Fingo una telefonata urgente, mi congedo da Jamal, in realtà mi dirigo verso i servizi igienici, mi piego in due e vomito.

Poco prima mi ero intrattenuto in una discussione con il dottor Abdel, oftalmologo, circa i rumors, le voci incontrollate che da giorni circolano lungo tutta la Striscia secondo le quali l'esercito israeliano ci starebbe tirando addosso una pioggia di armi non convenzionali, vietate dalla Convenzione di Ginevra. Cluster bombs e bombe al fosforo bianco. Esattamente le stesse che l'esercito di Tsahal utilizzò nell'ultima guerra in Libano, e l'aviazione USA a Falluja, in violazione delle le norme internazionali. Dinnanzi all'ospedale Al Auda siamo stati testimoni e abbiamo filmato dell'utilizzo di bombe al fosforo bianco, a circa cinquecento metri da dove ci trovavamo, troppo lontano per essere certi che sotto gli Apache israeliani ci fossero dei civili, ma troppo tremendamente vicino a noi. Il Trattato di Ginevra del 1980 prevede che il fosforo bianco non debba essere usato direttamente come arma di guerra nelle aree civili, ma solo come fumogeno o per l'illuminazione. Non c'è dubbio che utilizzare quest'arma sopra Gaza, una striscia di terra dove si concentra la più alta densità abitativa del mondo, è già un crimine a priori. Il dottor Abdel mi ha riferito che all'ospedale Al Shifa non hanno la competenza militare e medica, per comprendere se alcune ferite di cadaveri che hanno esaminato siano state prodotte effettivamente da proiettili al fosforo bianco. A detta sua però, in venti anni di mestiere, non ha mai visto casi di decessi come quelli portati all'ospedale nelle ultime ore. Mi ha spiegato di traumi al cranio, con fratture a vomere, mandibola, osso zigomatico, osso lacrimale, osso nasale e osso palatino che indicherebbero l'impatto di una forza immensa con il volto della vittima. Quello che ha detta sua è totalmente inspiegabile, è la totale assenza di globi oculari, che anche in presenza di traumi di tale entità dovrebbe rimanere al loro posto, almeno in tracce, all'interno del cranio. Invece stanno arrivando negli ospedali palestinesi cadaveri senza più occhi, come se qualcuno li avesse rimossi chirurgicamente prima di consegnarli al coroner.

Israele ci ha fatto sapere che da oggi ci è generosamente concessa una tregua ai suoi bombardamenti di 3 ore quotidiane, dalle 13 alle 16. Queste dichiarazioni dei vertici militari israeliani vengono apprese dalla popolazione di Gaza, con la stessa attendibilità dei leaders di Hamas quando dichiarano di aver fatto strage di soldati nemici. Sia chiaro, il peggior nemico dei soldati di Tel Aviv sono gli stessi combattenti sotto la stella di Davide. Ieri una nave da guerra al largo del porto di Gaza, ha individuato un nutrito gruppo di guerriglieri della resistenza palestinese muoversi compatto intorno a Jabalia e ha cannoneggiato. Erano invece dei loro commilitoni, risultato: 3 soldati israeliani uccisi, una ventina i feriti. Alle tregue sventolate da Israele qui non ci crede ormai nessuno, e infatti alle 14 di oggi Rafah era sotto l'attacco degli elicotteri israeliani, e a Jabalia l'ennesima strage di bambini: tre sorelline di 2, 4, e 6 della famiglia Abed Rabbu. Una mezz'ora prima sempre a Jabilia ancora una volta le ambulanze della mezzaluna rossa sotto attacco.Eva e Alberto, miei compagni dell'ISM, erano sull'ambulanza, e hanno videodocumentato l'accaduto, passando poi i video e le foto ai maggiori media. Hanno gambizzato Hassan, fresco di lutto per la morte del suo amico Araf, paramedico ucciso due giorni fa mentre soccorreva dei feriti a Gaza city. Si erano fermati a raccogliere il corpo di un moribondo agonizzante in mezza alla strada, sono stati bersagliati da una decina di colpi sparati da un cecchino israeliano. Un proiettile ha colpito alla gamba Hassan, e ridotto un colabrodo l'ambulanza.

Siamo arrivati a quota 688 vittime, 3070 i feriti, 158 i bambini uccisi, decine e decine i dispersi. Solo nella giornata di ieri si sono contati 83 morti, 80 dei quali civili. Il computo delle vittime civile israeliane, fortunatamente, è fermo a quota 4. Recandomi verso l'ospedale di Al Quds dove sarò di servizio sulle ambulanze tutta la notte, correndo su uno dei pochi taxi temerari che zigzagando ancora sfidano il tiro a segno delle bombe, ho visto fermi ad una angola di una strada un gruppo di ragazzini sporchi, coi vestiti rattoppati, tali e quali i nostri sciuscià del dopoguerra italiano, che con delle fionde lanciavano pietre verso il cielo, in direzione di un nemico lontanissimo e inavvicinabile che si fa gioco delle loro vite. La metafora impazzita che fotografa l'assurdità di questa di tempi e di questi luoghi.
Restiamo umani.
Vik

di Vittorio Arrigoni
Fionde contro bombe al fosforo bianco, Il manifesto - 8 gennaio 2009

giovedì 14 aprile 2011

Conoscete l'uomo fiammifero?

Il fatto che un film come questo sia passato così poco osservato (per non dire del tutto inosservato) presso il grande pubblico è l'ennesima prova che, per lo meno nell'ambito dell'arte, non è sufficiente la qualità per raggiungere l'affermazione, intesa come quella notorietà diffusa che caratterizza i veri successi, non solo cinematografici. Eppure questo film avrebbe tutte (ma proprio tutte) le carte in regola per sbancare ai botteghini. Un protagonista bambino e sognatore. La difficoltà del rapporto con un padre a suo modo amorevole, ma decisamente troppo autoritario. La mancanza di una madre che se n'è andata troppo presto. La curiosità e l'inquietudine di stravaganti amici immaginari. L'arrivo di una bambina a sconvolgere un'estate di caldo e di noia in una campagna abruzzese carica di colori. Le fantasticherie e le immaginazioni che prendono letteralmente vita in una realtà che si fa sogno e cercano così di prendere per mano il piccolo protagonista a trovare l'uscita da un labirinto di dolori e di mancanze con cui ancora non è venuto a patti, o che forse non ha addirittura riconosciuto, ma che solo l'arrivo del misterioso uomo fiammifero potrà finalmente riuscire a sciogliere.

Ma L'uomo fiammifero non è solo un film, oserei dire unico nel panorama nazionale, per il coraggio dell'idea e della visione e per i deliziosi effetti speciali che lo costellano e che supportano con attenzione pre-adolescenziale alle fantasie del protagonista, ma lo è anche nel modo con cui è stato realizzato, giacché la produzione del film è iniziata con i proventi della vendita del libro omonimo che conteneva tutti i disegni, le foto, gli appunti che Marco Chiarini (il regista) aveva preparato per il film, compresi i disegni e gli acquerelli originali. È stata questa l'inedita e coraggiosa partenza che è poi riuscita - grazie anche a migliaia di sostenitori del Cineforum Teramo - a catalizzare intorno al progetto numerosi altri professionisti che hanno creduto alle potenzialità del film e hanno deciso di supportarlo sia finanziariamente che professionalmente.

Il film, realizzato dunque con un budget straordinariamente basso (e non si direbbe proprio), è stato girato a Teramo in un mese e ha richiesto poi quasi tre anni di lavoro in post-produzione, con innumerevoli effetti speciali digitali, come pure un sacco di sequenze realizzate con la tecnica dello stop-motion dallo stesso regista, a supportare le magiche fantasie del piccolo Simone. Il prodotto che ne è scaturito è un gioiellino di perseveranza, ostinazione, arte, amore per il cinema e per i sogni, emozioni e tenerezze, sorprese e incanti. E il fatto che anche in rete se ne sia sentito parlare (troppo) poco, anche nell'occasione della recente uscita del doppio DVD, non fa che confermarmi che questo film non ha ricevuto l'attenzione che meritava, anche a dispetto dei numerosissimi riconoscimenti che ha conseguito in Italia e all'estero.
Del resto come accade per i libri, la distribuzione è il nodo cruciale e costoso (e quasi sempre determinante) per la diffusione e, dunque, il successo di un'opera. Anche da questo punto di vista L'uomo fiammifero ha intrapreso una strada inedita e innovativa, quella della Social Distribution, in cui è lo stesso spettatore che distribuisce il film nella sua città e prende parte agli incassi.

Insomma, cos'altro devo dirvi? Se non l'avete già fatto, cercatelo, guardatelo e consigliatelo, o addirittura distribuitelo. Nel frattempo gustatevi il trailer.
Ci dovete credere.



L'uomo fiammifero (2009) di Marco Chiarini, con Francesco Pannofino (padre), Marco Leonzi (Simone), Greta Castagna (Lorenza), Davide Curioso (Rubino), Tania Innamorati (mamma), Matteo Lupi (Giulio Buio), Anastasia Di Giuseppe (Dina Lampa), Daniele De Fabiis (Armando Armadio), Armando Castagna (Ocram), Giuseppe Mattu (Zio Disco), Franco Di Sante (Mani Grandi), Daniele Irto (Uomo fiammifero).

martedì 12 aprile 2011

L'Italia con gli occhi di Jonathan

"- Abbiamo così tante elezioni, - disse Gitanas, - che la stampa internazionale non se ne occupa più. Facciamo tre o quattro elezioni all'anno. Sono la nostra industria più importante. La nostra produzione pro capite annua di elezioni è la più alta del mondo. Supera persino quella dell'Italia."

(da Le correzioni, di Jonathan Franzen)

lunedì 11 aprile 2011

Quando finisce un livore

Le esequie di Silvio Berlusconi sono appena terminate e almeno mezza nazione si sente finita, distrutta, svuotata. Che cosa faranno, dunque, ora che non c'è più lui? Lui che è stato il loro unico pensiero per tutti questi anni. Lui che è stato il catalizzatore, se non di tutte, almeno di una grandissima parte delle loro energie. Come impiegheranno adesso tutto quel tempo e quelle forze intellettuali ed emotive, che fino a ieri erano riservate a lui?

Le esequie di Silvio Berlusconi sono appena terminate, colonne di auto blu si allontanano alla spicciolata portandosi via i loro vetri scuri, e almeno mezza nazione si sente sospesa, perduta, disoccupata. Come quando concludi un lavoro che ti ha succhiato via l'anima per anni e anni e anni. E poi un giorno ti ritrovi a casa, quel lavoro finito, sai che non dovrai pensarci mai più, e ti guardi allo specchio con la bocca aperta e quella strana sensazione addosso di irrealtà, vibrante dentro una via di mezzo tra una vertigine e un risveglio, e non puoi fare a meno di chiederti: «E cosa cazzo faccio adesso?».

Le esequie di Silvio Berlusconi termineranno, un giorno, come quelle di tutti, eppure allora c'è da giurare che i suoi più acerrimi nemici, coloro che l'hanno osteggiato, combattuto, insultato, criticato, avversato con tutti loro stessi, si sentiranno privati di qualcosa. Perché la loro battaglia, una battaglia di quelle proporzioni, combattuta con così tanto ardore e così a lungo, così viscerale, finisce sempre per autoreferenziarsi e diventare prima di ogni altra cosa realizzazione di se stessa.

Le esequie di Silvio Berlusconi termineranno, un giorno, presto o tardi, perché anche le più ardite finzioni tricologiche nulla possono contro il vento dell'entropia che rende calvi i teschi. E sarà in quell'esatto momento che, affermano gli studi di settore, nascerà un nuovo mercato formato da tutte quelle migliaia di persone dovranno trovarsi qualcos'altro da fare per occupare i propri pensieri e il proprio tempo libero. A tale proposito in Fininvest starebbero già studiando alcuni kit per la costruzione di televisori in bottiglia («Funzionano davvero!»), e le Bunghine, una serie di riproduzioni in scala 1:10, da collezione, di Ruby, Nicole e delle Olgettine, precise in ogni dettaglio, in puro silicone anallergico, anche in versione gonfiabile («Mugolano davvero!). Tutto, naturalmente, in comode uscite settimanali.

venerdì 8 aprile 2011

Eziologia del protagonismo

Il mondo dell'arte si divide in due parti. Chi crea l'opera e chi ne usufruisce. È più che una condizione di complementarietà, è l'equivalente culturale di una simbiosi. Ognuno dei due soggetti trae ragione d'essere dall'esistenza dell'altro. E gli artisti che se ne vanno in giro a dire che lo fanno per se stessi, mentono, anche non è detto che lo facciano consapevolmente. Questo vale in generale per tutte le forme espressive della creatività, anche se ce ne sono alcune che, per loro natura, presuppongono maggiormente di altre la presenza della controparte spettatoriale. Penso, ad esempio, a un musicista o a un regista, rispetto a un poeta o a uno scrittore. Ma in linea di principio, quello che ho detto vale anche per questi ultimi. Che senso ha scrivere un romanzo e chiuderlo a chiave in un cassetto? Perché si dovrebbe comporre una canzone per non farla mai sentire a nessuno? Naturalmente qui l'aspetto commerciale o la vastità del pubblico non hanno alcuna rilevanza. Se si parlasse di un cantante potrebbe essere un concerto nella saletta dell'Oratorio della Parrocchia di Sant'Eustachio, come pure alla Royal Albert Hall di Londra, e se fosse uno scrittore i lettori potrebbero essere dieci tra amici e parenti (pseudo)volontari, come pure venti milioni sparsi in trenta paesi del mondo.

Il punto è che oggi una delle due categorie sembra avviata verso l'estinzione, in fase di trasferimento dall'altra parte del confine creativo, o meglio ancora in via di smarrimento dei suoi connotati di valore, funzionali e, soprattutto, emotivi. In altre parole, essere spettatori per molti non vuol più dire alcunché. Se sei uno spettatore in fin dei conti sei un fallito, perdi il tuo tempo, sei solo una fiammella in mezzo a trentamila, un lettore tra migliaia. Non sei nessuno. Non servi a niente. La mediatizzazione della realtà ha fatto sì che siano viste come degne di essere vissute (per lo meno dalle giovani generazioni) solo le vite amplificate dal protagonismo, e la televisione non fa altro che alimentare sempre più la mitologia del successo, attraverso l'illusione dei talent-show, ma anche i paradossi dei non-talent-show. Così, pesantemente correa anche l'informatizzazione, che ha contribuito a distribuire in maniera capillare pericolosissime armi di creazione di massa chiamate OpenOffice, PhotoShop, GarageBand ecc., ma anche You Tube, MySpace, Lulu ecc., tutti nel giro di pochi anni si sono ritrovati nella troppo facile condizione di potersi infilare negli strettissimi panni dell'artista a caccia di immortalità e bombardare il mondo con le peggiori porcate.

Quanti potenziali scrittori avremmo in giro oggi, se ancora si dovesse - non dico scrivere a mano a lume di candela - ma anche soltanto picchiare sui tasti di una vecchia Olivetti Lettera 22? Quanti pittori, se bisognasse ancora dotarsi di cavalletto, tela e pennelli? Quanti cantanti, se non ci fosse stato il karaoke, la De Filippi e X-Factor? Per questo ho la spiacevole impressione che, per lo meno nelle nuove generazioni, si stia correndo il rischio della perdita del gusto e del valore di essere (solo) spettatori, lettori, contemplatori, in quanto recettori di un messaggio, elaboratori di un'idea, risuonatori di un'emozione, non solo dunque semplici partecipi del medesimo processo creativo originale, bensì protagonisti autentici del suo scopo finale. E nei confronti dell'artista, quello vero, sul palco o dietro un leggio, temo si sentano più che altro serpeggiare l'invidia e la gelosia, quando invece ci dovrebbe essere solo e soltanto riconoscenza.

mercoledì 6 aprile 2011

Murato vivo

Sono posseduto. E questo post nasce come un maldestro tentativo di esorcismo fai-da-te. Perché ormai è da quattro giorni che sono in questo stato e non riesco a uscire dal tunnel, come la puntina impazzita di un disco che salta da un pezzo all'altro e non arriva mai in fondo, pietrificato come uno che si è trovato al cospetto di Medusa e non ha potuto fare a meno di guardarla dentro quei suoi occhi di mercurio. Come trovarsi di fronte a un mito. Che tu lo sapevi da ben prima che era un mito, sapevi quali erano le regole, eppure non potevi prevedere la tua reazione. Ma concedetemi un passo indietro. Anzi due.
Anzi tre.

Nel primo ci sono le pareti di una stanza. Da adolescente. Non ci sono poster di cantanti. Non mi sono mai nutrito di mitologie, né pop, né rock. A dispetto del fatto di essere sempre stato un vorace consumatore di musica, non ho mai sentito il bisogno di appendere altari cartacei intitolati ai miei idoli, cui affidare l'incertezza della mia identità. Forse perché non era poi così incerta? Non lo so. Vedo solo una vignetta di Snoopy e le locandine di due film: Indiana Jones e l'ultima crociata e Ritorno al futuro. Come se il mito potesse passare solo attraverso le immagini di una finzione conclamata. Anche se ho idea che fosse più che altro una questione di estetica e di colori. Nel complesso scorrendo il nastro del tempo vedo in giro una crescente quantità di LP dei generi più svariati, che poi sono diventati CD. Eppure mai nessuna Madonna votiva.

Il secondo parla di una scoperta. Non so perché sono sempre stato fissato con la musica. Forse per merito di uno strano giro di coincidenze che facevano sì che in pasto al mio mangiadischi in perenne crisi d'astinenza finissero quantità ziopaperonesche di 45 giri dismessi dal juke-boxe di un bar di amici. Perché nessun altro in casa aveva l'abitudine di ascoltare musica. C'era di tutto, da Battisti ai Beach Boys. Da Gigliola Cinquetti a Santo & Johnny. Roba da juke-box, insomma. Poi ci fu quella volta che finii a casa di un cugino molto più grande di me (saranno stati ben sette/otto anni) che vedevo di rado e lui aveva questo grande disco da grandi con una copertina da paura. Nera (nera!), con un triangolo in mezzo e una specie di bizzarro arcobaleno sghembo che spuntava da una parte. Per non parlare dell'altro zio, sempre con quei dischi là, bocconi troppo grossi per le fauci del mio mangiadischi. E una copertina con due tizi tutti elegantini, in mezzo a una strada desolata, che si stringono la mano, ma nel contempo uno dei due brucia. E veniva da chiedersi, ma è colpa della stretta di mano, se brucia? E perché l'altro non fa niente per salvarlo? Altro che vorrei che tu fossi qui. Sarebbe molto meglio se fossi da un altra parte! Ma quando li mettevi sul piatto dei grandi, quei dischi, usciva fuori una musica pazzesca, che mi faceva brillare pazzo come un diamante. E mi lasciava nell'orecchio la fame di quei suoni che non sapevo dove andare a ripescare. Del resto probabilmente con la lettura ero alle prime armi. Figuriamoci capire l'inglese. E comunque su quelle copertine non c'era alcun indizio, nessuna scritta, solo il più fitto, inesplicabile mistero.
Il terzo è sul riconoscimento dell'arte, della creatività, del talento e, in ultimo, di quella mescolanza indefinibile di attitudini denominata volgarmente genio. Sono faccende che si imparano con l'età, l'esperienza, la cultura. Come affinare la sensibilità di un'antenna per captare frequenze sottili e armoniche superiori. Non si finisce mai di farlo, perché il mondo è analogico e le sue sfumature sono troppe per una vita sola. Così, oggi è questa l'unica mitologia che riesco a contemplare. Una mitologia che dunque non è adorazione, ma inchino di fronte a qualcuno che è (stato) capace di creare qualcosa di unico, dal nulla. Qualcosa di cristallino, di levigato, di un materiale alieno immune alla corruzione del tempo e della noia, dotato della straordinaria proprietà dell'evocazione. Può essere un musicista, uno scrittore, un regista. Non importa. Alla fine è un demiurgo di spiriti ed emozioni. Ebbene, tutto questo sui Pink Floyd l'avevo già capito da un pezzo. Ma vedere The Wall dal vivo, e Roger Waters sul palco iniziare intonando questa e rendersi conto di aver perso la ragione per almeno dieci minuti buoni come non ti è mai successo in vita tua, come nemmeno pensavi potesse essere possibile, sopraffatto da uno scollamento mitologico, in preda a una crisi acuta da Sindrome di Stendhal, in viaggio solo andata dentro una sensazione d'altromondo, è qualcosa che lo capisci dai numeri da circo che fa la tua spina dorsale, che ti resterà dentro per sempre.

D'accordo, ma cazzo, almeno vorrei riuscire a togliermi dalla testa Comfortably Numb!



/continua

lunedì 4 aprile 2011

La rivoluzione silenziosa (oppure dammi tre parole)

Dopodiché in questi casi salta sempre fuori quello che snocciola cifre, tabelle, statistiche, analisi costi-benefici, prospetti, budget, preventivi e consuntivi, previsioni e scenari, grafici a torta e istogrammi, tutte quelle cose che vengono bene agli incravattati con Powerpoint, magari li si può anche animare, i dati, mettendoci dentro qualche effetto sonoro gradevole che risuona cerebralmente con i neuroni deputati al consenso e al gradimento, soprattutto se al buffet, dopo, ci sono i salatini caldi e croccanti e i tramezzini appena fatti con la crema tonnata e, certo, anche la classica doppia tinozza alcolico/analcolico dall'improbabile color salmone col mestolo di plastica. Ma fino a che punto in un settore come questo, fortemente tecnico, variegato e ramificato, potete essere certi dell'affidabilità degli scenari? O dell'assoluta validità dei ragionamenti con cui vengono presentati? Chi mai potrà remare (pubblicamente) a favore di polveri sottili, tare genetiche, scorie contaminanti, inceneritori puzzolenti, ossidi di carbonio, diossine scelte, metalli pesanti, cromo, piombo, rifiuti biologici e discendenze mutanti? È sterile disfattismo? Totale mancanza di fiducia nella possibilità di approdare a un qualche tipo di conoscenza? Diffidenza nel sistema? Un sano realismo?

In effetti questo non può (né deve) significare l'adozione di un pensiero qualunquista astensionista. Perché credo che un modo per farsi comunque un'opinione a riguardo ci debba essere. È doveroso, perché è qualcosa che coinvolge tutti, non solo rispetto alla propria vita, ma anche rispetto a quella di almeno una generazione a venire, se non di più. Così, alla fine, il modo davvero conservativo che consente di trovare un'uscita sensata e razionale al labirinto del fabbisogno e della produzione dell'energia, è uno solo. E se ne cominciano a intravedere i contorni facendo innanzitutto un salto mentale individuale che porti ciascun utilizzatore di energia a fare propri i concetti di conservazione e moderazione, abbandonando quelli di intemperanza e crescita. Anche se c'è chi già sostiene (con le cifre) che il nucleare non è necessario, il nucleare non dovrebbe comunque essere necessario, perché il fabbisogno energetico dovrebbe diminuire, invece che aumentare. È la traduzione in termini energetici di quel concetto di "decrescita" di cui si sente tanto parlare, e con cui le generazioni a venire si troveranno a dover fare i conti. Le risorse sono limitate. Tutte. Anche quelle energetiche. E più una risorsa naturale diventa rara, più diventa preziosa, e il suo prezzo per forza di cose si fa sempre più oneroso sempre nei termini di cui abbiamo parlato la scorsa volta. Soldi, salute e bellezza.

Se dunque non esiste un mo(n)do ideale che risolva il problema energetico come un miracolo, ma sapendo che qualunque sia il compromesso verso cui ci si dirige si trovano controindicazioni, non è logico allora, la cosa più logica, cercare di conservare il più possibile soldi, salute e bellezza? Non è quanto di più prezioso abbiamo? E questo, alla luce di tutte le considerazioni che abbiamo fatto, non si traduce forse nell'attività primaria, per certi versi banale, ma per altri versi tutt'altro, che si chiama: consumare meno? Cosa che non significa solo con l'adozione adesso di dispositivi a basso consumo, maggior efficienza, eccetera eccetera (non voglio fare qui una lezione sul risparmio energetico, c'è pieno in giro di informazioni a riguardo che si possono reperire facilmente), ma anche come tendenza futura, che si sviluppa attraverso la consapevolezza e la sensibilità, ovvero l'educazione. E potete stare certi che non saranno gli Stati a dirvi di dover fare così, se non quando ci sarà davvero l'acqua alla gola (ma temo che non si trattera di acqua, bensì di qualcosa di molto più denso...). Loro spingeranno sempre verso i concetti di crescita e benessere perché sono quelli che politicamente (elettoralmente) funzionano. Così questa è una rivoluzione che va iniziata dal basso, in autonomia, silenziosamente.

Guarda caso, qualunque strada si imbocchi, come in un labirinto stregato si finisce sempre lì, davanti al vicolo cieco della "decrescita", al fatto che la coperta è corta e se vuoi dare conforto alle spalle, ti ghiaccerai le dita dei piedi. A me dunque alla fine non interessa dirti che cosa è giusto e che cosa non lo è. Non sono abbastanza presuntuoso per farlo. Mi interessa invece provare a darti stimoli di ragionamento, ma con onestà e disincanto. Farlo, insomma, al di fuori dei soliti schemi liofilizzati e preconfezionati dai media, che magari credi i tuoi, ma in realtà sono i loro. Dunque se sei tra quelli che non vogliono il nucleare, sappi che i tuoi figli dovranno consumare meno. E in quel "consumare" c'è dentro tutto. Per questo, forse, nel caso sarebbe meglio che cominciassi anche tu a farlo, da subito. Oppure, se preferisci vederla dalla prospettiva opposta, se vuoi continuare a vivere in questo modo, anzi a crescere crescere crescere sempredipiù come loro ti dicono che devi fare, sappi che avrai bisogno di energia sempredipiù e - che venga dal nucleare o da altrove (a meno di miracoli imprevisti che peraltro finora la Natura non ha mai concesso) - di certo ti toccherà pagarla sempredipiù. E con tutto quello che ciascuna di queste scelte potrà comportare, ad andarsene saranno comunque sempre soldi, salute e bellezza.

/fine

[Credits: l'immagine in alto è (c) di Justin Randall, quella in basso è di (c) acartier]

domenica 3 aprile 2011

venerdì 1 aprile 2011

Pesci d'aprile

Domenica scorsa Italo Bocchino si è confessato in diretta da Fabio Fazio, chiedendo pubblicamente scusa alla moglie per la relazione extraconiugale con Mara Carfagna. Fazio lo ha assolto in diretta senza neanche fargli recitare l'Atto di Dolore. In nomine sponsoris, et Finii et nuntii promotionalis...

Accarezzando il suo gatto Blofeld, il presidente degli Stati Uniti, Premio Nobel per la Pace, Barack Obama ha rivelato in conferenza stampa che l'installazione climatica HAARP in realtà è una potente e innovativa arma capace di scatenare devastanti terremoti a comando su tutta la superficie terrestre. Il Popolo Viola ha istituito una sottoscrizione popolare per prenderlo in affitto per un paio d'ore per un lavoretto in zona Arcore.

Il vicepresidente del CNR, Prof. Roberto de Mattei, ha sostenuto in un'intervista a Radio Maria che i terremoti: «sono una voce terribile ma paterna della bontà di Dio». Naturalmente non ha sentito il bisogno di specificare che, a dispetto del dolore del momento, le sculacciate sono sempre a fin di bene.

Giampaolo Pazzini non potrà giocare l'atteso derby di domenica prossima. Durante la partitella di rifinitura di ieri ad Appiano Gentile, l'attaccante nerazzurro (che aveva appena segnato un gol) è infatti dovuto uscire anzitempo dal campo. Dopo i primi inutili soccorsi da parte dello staff medico, alla fine è stato disposto il suo trasporto d'urgenza presso l'Ospedale Niguarda di Milano. I medici gli avrebbero riscontrato un doppio trauma oculare e una frattura scomposta all'indice e al medio della mano destra.

La giunta leghista di Zaia, presidente della Regione Veneto, ha spedito a tutti i dirigenti scolastici delle scuole primarie della regione una copia della Bibbia per contrastare nella società "la deriva laicista, spesso ancorata ai dettami del relativismo e del nichilismo". Glielo dite voi, per favore, che ci vorrebbe anche un dizionario per le parole laicista, relativismo e - soprattutto - nichilismo?

Il sito WikiLeaks proprio stamane ha rivelato che: Clark Kent è Superman, Peter Parker è Spiderman, Bruce Wayne è Batman, Matt Murdock è Devil, Bruce Banner è Hulk, Zio Paperino è Paperinik, Palpatine è Joseph Ratzinger, Niccolò Ghedini è Lurch, Augusto Minzolini è Lex Luthor e Pierluigi Bersani è l'Uomo Invisibile.

Qualche giorno fa, in occasione della sottoscrizione da parte di 85 paesi all'ONU della risoluzione per porre fine alla discriminazione e agli atti di violenza nei confronti della comunità LGBT, l'Ambasciatore dell'Osservatorio Permanente del Vaticano presso le Nazioni Unite ha attaccato pesantemente l'iniziativa volta a riconoscere la dignità e l'uguaglianza di chi ama persone dello stesso sesso. Per l'Arcivescono Silvano Tommasi negare la possibilità di essere contro l'omosessualità è «una chiara violazione dei diritti umani».

È chiaro che non ci crede nessuno.

[Credits: il pesce è di Marco Marilungo]

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