Punti di vista da un altro pianeta

lunedì 4 novembre 2013

Esercizio di bibliopsicologia comparata

Quando un lettore tiene in mano un libro, di carta intendo, al di là dell'annosa e (un po') stucchevole faccenda delle sensazioni (mi riferisco ai soliti irriducibili nostalgici, cultori della fisicità del libro cartaceo in termini di profumo, fruscio, grana della carta ecc.), c'è un ulteriore fattore tutt'altro che trascurabile che viene percepito in modo molto diverso e che tende a condizionare, ancorché per lo più inconsapevolmente, l'opinione che il lettore ha del libro cartaceo rispetto al suo omologo prodotto in formato digitale. Mi piace chiamarlo il peso-della-stampa.

Si tratta di quell'automatica consapevolezza che il lettore ha del valore materiale di un oggetto, in questo caso il libro, ovvero che per creare ciò che ha in mano è stato necessario un investimento. Tutta la faccenda insomma è costata dei soldi a qualcuno (NB che nella fattispecie non è l'autore) e si sa che dai soldi non ci si separa mai a cuor leggero. In altre parole qualcuno da qualche parte avrà ritenuto che valesse la pena rischiare un piccolo (o grande) gruzzolo per portare alla luce del mondo (tutte) quelle parole impresse sulla carta, nell'estrema speranza di guadagnarci qualcosa (normalmente è così, o almeno così dovrebbe essere). E questo risulta direttamente proporzionale alla dimensione del volume e al pregio dell'edizione (carta, colori, copertina ecc.). Quindi in buona sostanza tanto più il lettore percepisce un alto valore dell'oggetto nel suo complesso, tanto più d'istinto è portato ad attribuire un alto valore anche al suo contenuto. E tutti sappiamo nostro malgrado quanto questa percezione possa essere beffardamente fallace in ogni settore del commercio (e non), ma ancora di più in ambito editoriale.

Nel caso dell'e-book, invece, tutto questo non esiste. Il contenitore non esiste. Nemmeno il fiocco esiste. E se da un lato i soli costi di editing (si spera), di traduzione (se necessario) e di impaginazione (per forza) restano presenti in entrambe le versioni, dall'altro l'e-book non è gravato da alcun altro costo diretto (niente stampa e niente distribuzione, anche se quest'ultimo costo - pur essendo il più determinante della filiera editoriale - resta invisibile, e dunque ininfluente, agli occhi del lettore di libri cartacei). Per certuni questo potrà essere interpretato finalmente come un sintomo di purezza dell'e-book, che rimane pertanto immune da qualsiasi contaminazione materiale potenzialmente ingannevole, ma analogamente penalizza tutte quelle modalità estetiche cui comunque il lettore non si può del tutto sottrarre quando (pre)giudica - nel bene e nel male - un libro cartaceo, ovvero spesso quando si trova a sceglierlo senza molti altri parametri a disposizione.

/continua (domani)

4 commenti:

  1. La percezione del valore dell'oggetto-libro è in effetti IL problema che si trova ad affrontare chiunque voglia occuparsi di editoria digitale, qui e ora.
    Non c'è più l'oggetto, quindi non c'è più il suo valore, che in effetti chi ha mai dato un soldo per il puro e semplice testo? Quel che compriamo/compravamo erano etti di carta sporca ben confezionata.

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    1. Proprio così. Ed è nascondersi dietro un dito pensare che il discorso materiale non valga, dal momento che in effetti quello che compriamo è "solo" un testo. Il discorso materiale vale eccome. E condiziona in qualche modo (più spesso di quanto non si pensi) le nostre scelte. Ma magari ne parliamo meglio domani, se vorrai.

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  2. Ho sempre pensato che il valore di un libro dovrebbe essere tutto nel testo, o quasi. Sarà per questo che non sono una fiera oppositrice del formato elettronico.

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    1. Ma è come dici! Il problema è che, nel momento in cui tu "compri" qualcosa, qualsiasi cosa, ti confronti con la materialità di ciò che ottieni in cambio dei soldi (materiali) che dai. Questo in qualche modo ritengo condizioni (o condizionerà) le modalità di scelta dell'acquisto dei libri in formato digitale. Domani il resto, se vorrai.

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